Terminato il lockdown, ci chiediamo tutti dove andremo in vacanza. Ma com’erano le vacanze degli italiani nell’era pre-COVID? Una risposta proviene dall’indagine che l’ISTAT effettua da vent’anni intervistando un campione rappresentativo dell’intera popolazione: il grafico mostra il numero di pernottamenti fuori casa, effettuati dagli Italiani in località italiane, per tipologia di alloggio. Come si osserva, il numero dei pernottamenti, stabilmente sopra i 500 milioni fino al 2009, è poi crollato a circa 250 milioni, per risalire a 300 nel 2018. Si mescolano qui diversi fattori: la crisi, che ha ridotto la propensione ad andare in vacanza, ma anche l’incremento dei viaggi all’estero, facilitato dai voli low-cost, e l’ampliata possibilità di effettuare viaggi d’affari in giornata, senza pernottare fuori casa, favorita anche dall’alta velocità ferroviaria.
I conti però non tornano – almeno, non del tutto. Confrontando le risposte degli intervistati con le registrazioni effettuate dagli albergatori, è immediato riscontrare come il crollo dei pernottamenti, dichiarato dai primi dopo la crisi del 2009, amplifichi di molto la flessione, pur importante, rilevata dai secondi. Anche in questo caso l’effetto può derivare da diversi fattori, forse relativi anche alle tecniche di elaborazione del dato. Ma un ruolo importante è forse da attribuire alla percezione degli intervistati, che a quanto pare, a partire dalla crisi del 2009 hanno teso a dichiarare molti meno viaggi del reale. Forse, per una corretta interpretazione del dato ci sarebbe bisogno di qualcosa come un “indice di autocommiserazione”, che, per fare più scena, potremmo denominare SP (Self Pity) index.
Elaborazioni su dati ISTAT (indagine campionaria viaggi e vacanze, statistiche del turismo)
Andrea Debernardi